Mi chiamo Michele, ho 17 anni e vivo a Rivoli in provincia di Torino. La mia famiglia è composta da me, papà Aldo, mamma Maria e mia sorella Jessica. Frequento una scuola alberghiera, perché il mio sogno, tra qualche anno, è diventare un famoso pasticcere. Ho moltissimi sogni, desideri, aspirazioni, che per ora sto tenendo chiusi, qui, dentro ad un cassetto in camera mia. Adoro il sole, il mare, nuotare, la compagnia, ridere a crepapelle, adoro aspettare mia sorella che rientri a casa la sera, adoro le feste.
Eppure, nonostante sia circondato da tanta bellezza, che vedo e riconosco, nonostante l’incessante vociare della mia città, mi sento terribilmente solo, anche quando attorno a me c’è una moltitudine di gente. È come se, ad un certo punto, cominciassi a sentirmi estraneo a me stesso. E il dolore è lancinante, non passa, mi sento come catturato da una tagliola. Mi sto convincendo, che forse, si, hanno ragione loro……. Io sono diverso. Questa cosa mi confonde, perché quando mi guardo allo specchio non mi vedo diverso, quando entro nei negozi compro le stesse cose che comprano i miei amici, mi cibo dello stesso cibo che mangiano gli altri… e allora vorrei tanto sapere perché continuate a prendervi gioco di me, perché vi arrogate il diritto di giudicarmi, perché mi escludete dai vostri discorsi come se fossi un fantasma, perché ridete di me e non con me?
Il dolore è sempre più forte, per lenirlo un po’, mi faccio del male. Sembra che passi, ma dopo qualche minuto, ritorna dirompente, più forte di prima. Non sono malato, la mia testa funziona, i miei occhi vedono bene e le mie orecchie sentono ancora meglio. Avete cominciato a prendermi in giro perché, fino a qualche tempo fa, le mie gambe non correvano veloci come le vostre, perché ogni tre per due cadevo, mi avete detto che sono handicappato, mi avete deriso, mi avete odiato, mi avete escluso, sputato, spintonato, fatto fuori dalle vostre vite. Ed ho sempre sopportato e sperato che alla fine sarei stato vostro amico. Chiedevo solo questo: esservi amico! Non penso di riuscire a tollerare tutta questa cattiveria, non penso di riuscire a sentirmi ancora in grado di far finta che tutto vada bene, non penso di riuscire ancora per molto a tenere insieme i pezzi del mio cuore.
Che freddo che è questo pomeriggio, vorrei che qualcuno mi potesse trattenere, ho detto a mamma che ci saremmo rivisti a casa più tardi….. Ho raccolto tutti i miei sogni in un fagotto e li ho messi tra i pezzi del mio cuore. È solo lì che ormai li posso custodire. Tra un po’ sarò libero, tra un po’ non sentirò più il dolore, tra un po’ riuscirò finalmente a prendermi cura di me.
Volevo solo che almeno uno tra voi avesse potuto dirmi “Ehi, oggi sei maledettamente bello”. Adesso non potrete più ferirmi, adesso sono veramente libero.
Prima di continuare a correre tra i pezzi di questo cielo voglio solo dirvi che aver prevaricato me, non vi ha reso migliori, non vi ha reso più forti, più attraenti, più belli, più ammirati, benvoluti, vi ha solo reso più fragili, più soli di quanto pensiate, e quando riuscirete a capire quanto male siete riusciti a farmi, mi chiederete scusa… vi perdonerò, perché sono davvero felice di non essere uguale a voi!
Queste non sono le parole di Michele, ma alcuni dei suoi pensieri espressi dai suoi famigliari, che in sua memoria e nel suo ricordo, quotidianamente si impegnano nella lotta e contrasto di tutti i fenomeni di violenza e prevaricazione.