“Bullismo” e “Cyberbullismo” sono parole che da tempo circolano nelle scuole per sensibilizzare gli allievi, i genitori e i docenti su quanto sia importante educare al rispetto altrui.

Essere diverso è visto spesso come un limite, soprattutto dagli adolescenti che tendono ad uniformarsi, perchè sono costantemente in cerca della loro giusta collocazione, collocazione che non avverrà finchè non si riconosceranno nella loro individualità. E’ un passaggio, quello del gruppo, inevitabile e comprensibile; ciò che va assolutamente insegnato è il rispetto dei tempi e della soggettività degli altri. Si può essere diversi per mille motivi, perchè si ascolta una musica diversa, non ci vi veste alla moda, si preferisce leggere piuttosto che uscire, si è di diversa nazionalità, si abbraccia una fede diversa,  si hanno dei difetti fisici, una malattia o semplicemente una sensibilità particolare. Il diverso può spaventare semplicemente perchè pare dissimile da noi. Il problema è far capire ai ragazzi che la soggettività non è universalità e che l’universalità si raggiunge solo mettendo insieme più soggettività diverse.

Ciò che si stacca dal cordone dell’omologazione è una ricchezza, l’integrazione è la nostra risorsa del futuro. Spesso alcuni atti di bullismo vengono compiuti da individui che sottovalutano il potere che hanno le parole e il male che possono procurare poichè non sono stati educati all’accoglienza. Un conto sono gli scambi goliardici che si possono creare in una classe; in questo caso tutti ridono e sono partecipi dell’ironia o della dissacrazione, ma quando a farne le spese è uno solo per compiacere il gruppo, non si tratta più di divertimento da condividere ma di tortura. Le parole fanno male, colpiscono e feriscono più di qualcosa di tangibile e i segni si vedono, sono indelebili nell’anima di chi li riceve. Bisogna riscoprire la bellezza dello stare bene insieme, del fare gruppo in modo costruttivo, di quanto sia esaltante unirsi per combattere pregiudizi e stupidità. Non sono solo i bulli i colpevoli, ma anche tutti coloro che guardano, ascoltano e non dicono nulla, quelli che ridono ad una battuta che provoca dolore ad un altro e si sentono complici del più forte perchè probabilmente sono deboli ed incapaci di reagire. Credono di essere potenti, in realtà sono vittime anche loro dei bulli che nella stragrande maggioranza dei casi sono ragazzi sofferenti, che non sono stati ascoltati, amati e protetti e che cercano nella violenza un’arma di rivalsa sociale, schiavi della loro ignoranza e del dolore che incanalato in modo distruttivo, ha già travolto anche loro. E’ evidente che il bullismo sia frutto di una educazione fallimentare.

Insegno da più di venti anni nelle scuole e nelle mie classi ho sempre cercato di favorire i legami, di condividere con i miei allievi l’importanza del sostegno reciproco, ho redarguito seriamente i rari casi di unione contro uno, analizzando le motivazioni, rovesciando i problemi apertamente, in modo che se ne potesse discutere tutti insieme, capirne l’origine per cercare soluzioni ponderate. In classe si può instaurare un clima familiare; ovviamente è impensabile che tutti i nostri allievi vadano sempre d’accordo ma anche i conflitti vanno gestiti ed indirizzati, in modo che diventino uno scambio ed un arricchimento. Il ruolo di noi insegnanti è fondamentale. Non si può più pensare di entrare in classe, svolgere la nostra lezione, donare nozioni. Oggi più che mai, i ragazzi ci cercano, pur non dandolo troppo a vedere, vogliono essere indirizzati, aiutati, anche quando pare che rifiutino. E’ difficile, ma si può fare. Ascoltandoli, anche quando ci sembrano contro, accogliendoli, anche quando mettono a dura prova la pazienza e tastano il senso del limite. Non dobbiamo spostarlo il limite, semplicemente tenerlo fermo e non spostarci nemmeno noi. L’età in cui si sviluppa il bullismo è un’età in cui alcuni giovani, per percorsi del tutto soggettivi, cercano la libertà dalle regole, cercano collocazione e visibilità da ottenere anche a scapito altrui, nello stesso tempo vogliono essere arginati, anche se pare tutto il contrario. I genitori, gli insegnanti hanno anche questo compito: quello di rimanere fermi sulle poche regole sane del vivere civile. E non ci può essere una convivenza armoniosa senza il rispetto degli altri.

Là dove manca la famiglia per svariate motivazioni, la scuola deve essere un valido sostituto a livello etico e morale. A scuola si forma quel bagaglio che i nostri ragazzi domani porteranno per il loro viaggio nell’imperscrutabilità del loro futuro e da quella valigia attingeranno quando ne sentiranno la necessità. Cerchiamo di riempire quella valigia di tutto ciò che può davvero essere utile e sano, altrimenti lasceremo loro solo una zavorra della quale si libereranno appena ne sentiranno il peso.

 

Si ringrazia per l’articolo Cinzia Ravallese

Responsabile scuola secondaria di primo grado M. Hack, Villarbasse, Torino

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